Progetto Prometeo. Quanto pesa il teatro*


Nota di Claudio Meldolesi. 
Avevamo saputo che Clemente Napolitano, con cinque suoi compagni, stava costituendo a Marigliano un nuovo gruppo teatrale, e gli avevamo chiesto un breve rendiconto per «Teatro e Storia»: «Di poche pagine purtroppo, perché la rivista è sempre stracolma». Clemente, però, ci ha preso troppo in parola e ha racchiuso in quattro cartelle sei mesi di sogni e bisogni artistici, di progetti, di aperture e rifiuti del Comune, di liti, di realizzazioni parziali, fino al successo conclusivo: perché, alla fin fine, il fatto che lo spettacolo Orizzonti di silenzio, sia andato in scena con un piccolo contributo, e a dispetto di taluni, costituisce indubbiamente un successo.
Eccoci dunque di fronte a un racconto anomalo, ricco e non dispiegato, acuto e a volo d'uccello. Chi scrive, comunque, ha voluto che fosse pubblicato per più motivi.

1) Avendo poco spazio a disposizione, Napolitano ha deciso di non parlare dello spettacolo, ma degli avvenimenti di contorno (lo ha fatto anche per pudore, per non lodarsi come protagonista dell'evento artistico). Di ciò si rammaricherà il lettore interessato a saperne di più; ma non è forse vero che i documenti su cui lavoriamo, noi storici del teatro, usano parlare indirettamente del fatto scenico? L'importante è che il contorno, su cui più sappiamo, faccia intuire qualcosa dell'evento. Ed è questo che Napolitano ci offre, comunicando l'atteggiamento dei teatranti e descrivendo la paludosa politica del ‘favore’ insieme alla malafede attendista delle autorità. Comportamento, questo, che fa ripensare a quello con cui si scontrò il Teatro di base più di vent'anni fa, con un'aggiunta di freddezza tipica dei nostri anni. È bene quindi che si rifletta sulla difficile messinscena di Orizzonti di silenzio a Marigliano.
2) Si dirà: è un esempio come altri. Ma proprio per questo – viene da rispondere – è bene che non sia perso di vista. Com'è noto, il teatro di gruppo è attualmente vittima di tagli e di rifiuti di sovvenzione. Ciò che prima sembrava garantito non lo è più. Lo stesso de Berardinis, maestro di Napolitano e di tanti fra noi, pur abbondando di pubblico e di premi, stenta a mantenere attorno a sé una compagnia numerosa. Sulla maggioranza incombe una crisi strisciante. L'Italia–ormai–in–odore–d'Europa si appresta a superare varie sue ‘anomalie’ democratiche e, fra queste, il sovvenzionamento del teatro di gruppo, povero o semipovero. O business o niente, sembra essere questo il pensiero nascosto dei nostri governanti. Dunque, casi come quello di Marigliano forse segnalano che in futuro il ‘nuovo’ teatro dovrà tornare a lottare per il suo diritto di parola, anzi di indiscutibile esistenza. Opportunamente, da questo punto di vista, Napolitano ed i suoi compagni hanno dato una doppia risposta agli attacchi subiti: fattiva sul piano artistico e politicamente aperta alla solidarietà cittadina. A Marigliano è stato il «pubblico amico» a proteggere lo spettacolo in odore di eresia, a trasformare un'iniziativa teatrale in un conflitto interculturale.
3) Sulla scena delle nostre riflessioni, a questo punto, non può non entrare il DAMS, il corso di laurea di Napolitano e di chi scrive, figlio ormai maggiorenne della Facoltà di Lettere di Bologna. Gli studenti DAMS usano seguire alcuni itinerari liminari, uno dei quali è appunto tracciato fra le sponde della teoria e dell'esperienza teatrale. Il DAMS–teatro non offre una formazione artistica, ma è frequentato, fra l'altro, da alcuni studenti quasi registi e quasi attori; ed è logico che questi, una volta laureati e⁄o diplomati in una scuola di teatro, tornino ‘a casa’ per dar vita a loro gruppi e a loro spettacoli. E anche se pochi riescono a mettere radici, l'importanza del fenomeno sta in questa diffusa, continua e, spesso, anticonformista volontà di agire dalla periferia. (Per questo il DAMS–teatro appare in sintonia con il teatro di base e di gruppo, cioè con la cultura dell'autoriproduzione che ha distinto la situazione italiana nel contesto del teatro europeo). La sfida teatrale di Napolitano alla normalità culturale e politica della sua città non a caso coincide con le motivazioni teoriche e teorico-pratiche di tanti studenti del nostro corso di laurea.
4) Napolitano, oltre a condurre a termine i suoi studi universitari, è diventato esperto di dizione e, per un periodo, attore della compagnia di Leo de Berardinis. È raro che questa articolazione professionale possa realizzarsi senza confusioni di ruolo e di identità, ma nel suo caso è stato come il proseguimento di un impulso primario, l'impulso che lo ha portato al teatro anticonformista di Marigliano: attore sulla scena in quel misterioso spettacolo e attore nel sociale, in lotta contro la sottocultura del ‘favore’.


a) Mettere le fondamenta

Un nucleo  di sei persone, un piccolo gruppo, troppo piccolo forse per aspettarsi stima e considerazione dalla provincia delle tranquillità borghesi.

Una città dormitorio alle porte di Napoli, non più sottosviluppata come vent'anni fa al passaggio di Leo de Berardinis, ma partecipe della sussunzione delle forze proletarie nei meccanismi del ‘favore’. Marigliano, questo specchio fedele del ‘Paese civile’, presentava un tessuto sociale debole, contraddittorio, timoroso, facile da governare.
Dovevamo decidere: cercare un'oasi presumibilmente diversa o assumerci le dovute responsabilità, mettere le fondamenta, creare la nostra oasi, un luogo dove il piacere non si confondesse con l'agio, la libertà con la comodità. Decidemmo per questa seconda possibilità. L'iniziativa teatrale è stata sempre stimolata dalle difficoltà. E cominciammo a progettare e ad affinare la nostra partecipazione, certi che la realtà non andasse accettata, ma svelata.


b) Il mezzo e il pianeta

Il teatro, se fatto seriamente, avrebbe permesso di scoprire molteplici possibilità, artistiche, culturali, di solidarietà; e ci avrebbe aiutato a contrastare la mediocre sicurezza della conservazione. La forma associativa, generalmente considerata serbatoio di voti e consensi, sarebbe stata il cavallo di Troia dentro la città per un piccolo gruppo come il nostro: privo di mezzi, costretto a chiedere tutto per il suo primo progetto. «Prometeo» voleva essere una proposta per rompere il ghiaccio e presentarci all'opinione pubblica.

Iniziammo così il nostro cammino, orientato dal Novecento teatrale, seguendo tre piste pedagogiche e artistiche rivolte soprattutto al pubblico amico: un ciclo di lezioni sullo spettacolo di regia, un seminario sulla biomeccanica di Mejerchol'd e del Living Theatre (diretto  da  Stephan  Schulberg)  e  l'allestimento  di uno spettacolo – Orizzonti di silenzio – scritto ed interpretato da un membro dell'associazione «Epicentro».
Nonostante fosse stato «benevolmente accolto dal Comune», il progetto «Prometeo» incontrò innumerevoli ostacoli burocratici. Dovemmo lottare con noi stessi per non arrenderci, per sopportare umilianti colloqui con l'assessore allo Spettacolo, colloqui preceduti da attese snervanti durante le quali ci chiedevamo se non fossimo diventati impiegati comunali. Così, pur senza pubblicità, le conferenze si sono svolte; e il seminario, pubblicizzato meglio e finanziato male, è stato concluso alla vigilia della Guerra del Golfo da un forte intervento di piazza, inaspettato e molto coinvolgente. Forse troppo coinvolgente, però, perché da quel giorno le possibilità di realizzare lo spettacolo, ultimo è più importante obiettivo del nostro progetto, si sono ridotte. Eravamo pochi, producevamo tanto, il nostro volontariato sembrava incontrollabile: «come fidarsi di quei ragazzi?» – si chiese a un certo punto l'arroganza del potere. Non a caso ci sentimmo chiamare «anti–semiti», dopo l'intervento pacifista: anti–semiti guidati da un attore del Living, per giunta ebreo! Il motto era grottesco, paradossale. 


c) Sono bravi o cattivi ragazzi?

Ogni giorno una richiesta, sempre la stessa: vogliamo uno spazio per le prove dello spettacolo. Dopo due mesi ci viene affidata la palestra del comparto 219, un quartiere emarginato. Iniziano le prove, ci vuole un altro mese per il finanziamento di alcuni oggetti scenici. Le prove continuano, siamo felici, entusiasti, ma lo spettacolo è incompleto. Pensavamo di presentarlo in gennaio e, invece, in aprile dobbiamo ancora ottenere le strutture essenziali. Si decide di interrompere le prove, informando la Giunta municipale con una lettera protocollata per l'assessore allo Spettacolo. Nessuna risposta ufficiale. Dopo lunghe discussioni decidiamo di far vedere comunque il nostro lavoro e di protestare pubblicamente contro la gestione personalistica delle strutture comunali e delle risorse della comunità. Presentiamo inoltre una petizione popolare per la costruzione di uno spazio teatrale a Marigliano. Dall'altra parte continua il silenzio, ma è un silenzio ancor più maligno: ché a giugno, alla vigilia del debutto, il sindaco ritira il permesso per l'uso della palestra come luogo di spettacolo.

Questa è, pressappoco, la cronaca dei rapporti intercorsi tra l'associazione «Epicentro» e l'ente che aveva «benevolmente accolto» il progetto «Prometeo». Ma la Giunta sapeva che non ci saremmo rassegnati. Così il 30 giugno, in uno spazio privato convenzionato con il Comune, dopo un'ulteriore richiesta presentata al sindaco, Orizzonti di silenzio è stato proposto al pubblico.
Rimangono, a conclusione dell'esperienza, gli applausi del pubblico amico e gli stimoli dati a quello meno amico. Soprattutto, però, l'intelligenza del teatro ha fatto toccare con mano lo scollamento tra istituzioni e società civile. Dai politici e dagli intellettuali che pensavamo di coinvolgere in un dibattito aperto sulla democrazia diretta, proprio da loro siamo stati frequentemente additati come cattivi ragazzi. Dovevamo prendere esempio, evidentemente, dai narcotizzati, piegarci al meccanismo del ‘favore’, adeguarci, rinunciare alle ragioni dell'arte, omogeneizzarci. E il diritto all'immaginazione? E il dovere della conoscenza? E l'uso del teatro come diletto?
C'erano troppe domande per rimanere immobili sulla riva del fiume ad aspettare il cadavere del nostro nemico. Il nemico era anche dentro di noi. Con la nostra iniziativa siamo riusciti a liberarcene, così almeno speriamo. Il teatro serve: serve a fare dei buoni spettacoli e a mostrare che la sottomissione è insopportabile.


*Clemente Napolitano, Progetto «Prometeo». Quanto pesa il teatro, “Teatro e Storia”, 1992, n° 1.